La mobilitazione nella città di Cagliari, partita dalla facoltà di lettere, ha raggiunto ben presto dimensioni ben più ampie ed inizialmente imprevedibili. Imprevedibili proprio come l'Onda anomala che sta investendo l'Italia intera da ormai tre mesi . A metà ottobre, erano già nati in ogni facoltà assemblee e gruppi autorganizzati di discussione, analisi e costruzione di mobilitazione, spinti inizialmente anche solo dalla voglia di riflettere, collettivamente, su ciò che stava accadendo all'Università, alla scuola ed a tutto il sistema della formazione e della ricerca pubbliche. Già a fine ottobre, la partecipazione aveva raggiunto dimensioni tali da far nascere la necessità di uno spazio di discussione e di coordinamento a livello di Ateneo, che ha infatti preso corpo nel gruppo interfacoltà "UnicaMente contro la 133", promotore del corteo di 20.000 persone del 30 Ottobre. "Non pagheremo noi la vostra crisi", è stato, anche qui a Cagliari, il grido che si è levato dalle scuole, dalle Università e dalle piazze , contro gli ulteriori tagli alla formazione e alla ricerca, per far fronte ad una crisi che non abbiamo contribuito noi a generare. Infatti, quella che abbiamo di fronte è la crisi del sistema capitalistico e del suo modello di sviluppo, che ha creato e crea la precarizzazione del lavoro e delle esistenze, l'insostenibilità ambientale e le disuguaglianze sociali . Proprio per questo, ciò che stiamo proponendo, qui come nel resto del Paese, è un nuovo modello di sviluppo, che deve necessariamente partire dalla costruzione un'altra idea di produzione, riproduzione e trasmissione del sapere. Va costruita e tutelata l'autonomia dell'istruzione e della ricerca dai poteri forti, economici ma anche accademici . Deve esserne garantito il carattere pubblico e salvaguardato il diritto allo studio e al sapere per tutti e tutte. Le riforme dell'Università che si sono susseguite, soprattutto in questi ultimi dieci anni, attraverso per esempio continui aumenti delle tasse, tagli al diritto allo studio, numeri chiusi e uso esclusivo di criteri di metodo individuali (per esempio per l'assegnazione di borse di studio o di dottorato), hanno inoltre creato un sistema classista di valutazione e accesso. E' prevalsa quindi la logica della competizione su quella della cooperazione sociale, e si sono man mano compressi gli spazi di socialità e di socializzazione, anche a causa dell'imposizione di ritmi frenetici e spesso insostenibili di studio e di frequenza. Cosi come nel mondo del lavoro, anche in quello della formazione si è proceduto in nome di presunte "esigenze" di produttività. L'impressione è quella che qualcuno non voglia farci fermare; per guardare, riflettere, capire. Vogliono farci correre senza farci nemmeno sapere per andare dove. Ci manca il fiato… Ci sentiamo soffocare! Bene, gli studenti, oggi, si sono fermati e stanno osservando, riflettendo, discutendo e lottando! Vedono che i loro problemi, l'origine ( causa ) dei loro problemi, è simile all'origine dei problemi di molte altre categorie di lavoratori; la stessa che tiene bassi i salari, la stessa che non garantisce il diritto alla salute e un welfare per tutti, la stessa che spesso genera ingiustizie e disuguaglianze. Questa consapevolezza li tiene uniti; ci tiene uniti. E' la condivisione di una forte preoccupazione, è la volontà di riscatto. Per questi motivi si sta iniziando, anche a Cagliari, a prendere i contatti e a stringere relazioni con le varie vertenze in atto e si sta cercando, in questo modo, di allargare il fronte della protesta ed il consenso attorno a queste rivendicazioni. Per questo oggi, 12 dicembre, siamo in piazza insieme ai lavoratori, per produrre una prima, grande giornata, di sciopero generale e generalizzato.
Michele Piras, Matteo Quarantiello, Betty Cara ( studenti università di Cagliari)
1 commento:
Onestamente non mi appassionano per niente i dibattiti costruiti attorno a insinuazioni.
Pongo una domanda: è possibile accettare (una volta per tutte) che all'interno del partito convivono prospettive strategiche molto differenti fra loro? E' possibile prenderne atto senza scomunicarsi a vicenda? E' possibile che anche questa sia democrazia?
Esistono posizioni del tutto differenti fra di noi sul ruolo del partito, su come rilanciarlo, su come collocarlo in un contesto che favorisca la ricomposizione unitaria della sinistra. Esistono posizioni differenti sul tipo di attività da svolgere, su quali referenti politici interrogare, sui luoghi e le forme della comunicazione e dell'iniziativa politica. Sull'idea stessa di partito, nella sua forma e nelle sue modalità organizzative.
Insomma mi pare che, in una fase del tutto confusa come quella che attraversiamo, nessuno possa permettersi (senza fare torto alla propria onestà) di avere troppe certezze.
Io personalmente esercito molto il dubbio. E' innanzitutto un'esigenza.
Un esempio: questo partito ha raggiunto il suo apice elettorale in due occasioni, in due fasi politiche del tutto differenti fra loro:
1) 8,6% nel 1996. Erano i tempi di Cossutta-Bertinotti e del primo governo Prodi.
2) 7,5% nel 2006. Post congresso di Venezia.
Le due fasi erano caratterizzate da linee politiche, approcci alla società, maggioranze interne assolutamente differenti. si potrebbe desumere ad esempio che non esitono verità assolute che valgono in ogni contesto.
Perciò, posto che ritengo che l'iniziativa sul pane non sia il nucleo fondamentale di avvio del processo Rivoluzionario, penso che essa sia legata a una prospettiva che non condivido: ovvero quella del cosiddetto "partito sociale".
Il fatto che non la condivida non significa nè che non la capisco, nemmeno che la condanno, tantomeno la ritengo un tradimento. Penso anzi che essa stia del tutto all'interno di una cultura politica che nel partito è presente e ben radicata. Cultura politica tuttavia differente dalla mia.
Ma dopo tutto Rifondazione si costituisce, sotto il profilo politico culturale, precisamente in maniera plurale: dai demoproletari di AO, a quelli del MLS, ai trozkisti della quarta internazionale, ai trozkisti della quarta rifondata, ai picciisti cossuttiani, ai picciisti ingraiani, ai compagni di marxismo oggi, agli ex ML, e l'elenco potrebbe continuare, senza dimenticare che una intera generazione è nata e cresciuta (politicamente s'intende) in Rifondazione Comunista, attraverso Genova, Firenze, Praga, Seattle e, un'altra ancora, si sta formando nell'Onda. Ed altre ancora ne verranno (immagino...e spero).
Perché tutto questo sproloquio? Non so bene perché. Forse solo per dire che nella stessa Maggioranza nazionale converge una pluralità di approcci, culture politiche, esperienze e, persino, prospettive.
Insomma non credo, in fin dei conti, che l'idea di partito di Claudio Grassi sia precisamente la medesima di Paolo Ferrero o di Bellotti (quindi di TupacamauroPiredda) o di Mantovani.
Sarà una constatazione banale ma vale la pena ogni tanto di ricordarcelo.
Ed allora, sul punto della Sinistra Federale Sarda (ricordando ad Andrea Lai che Sinistra Federalista Sarda erano i DS sardi e non i socialisti, che invece erano quelli di Federazione Democratica, confluiti poi nei DS), considerato che chi era presente a quella interessante presentazione pubblica (ed io ero presente) ha avuto modo di sentire tutti gli oratori (da Giulio Angioni a Gianfranco Bottazzi, da Ottavio Olita a Marco Zurru) rimarcare (con forza) il fatto che la costituenda associazione politico culturale non è un partito nè una lista elettorale, e che non intende esserlo.
Posto che quell'iniziativa intende fornire un contributo al processo unitario della sinistra partendo dai contenuti (scuola, lavoro, cultura, ecc.) per arrivare a una progettualità complessiva, a una proposta alternativa di società ed economia per la Sardegna.
Considerato che il principio della federalità è nient'altro che una delle tante forme di democrazia applicabili nella variegata gamma delle opzioni politiche.
Ricordato il principio secondo il quale chi sta fermo muore lentamente e che quindi, tanto più in questa fase di crisi, vale la pena di muoversi e seguire con "curiosità" tutto ciò che si muove. Ed anche che questa formula vale soprattutto per i partiti, a maggior ragione se in crisi di consensi e lacerati al loro interno (come mi pare di aver capito che sia il nostro).
Posto e considerato tutto ciò: qualcuno mi spiega (dettagliatamente e possibilmente senza richiami all'ortodossia e senza abusare di citazioni a sproposito. Magari anche molto laicamente senza far richiamo eccessivo alla "linea nazionale" del partito) cosa diavolo ci sarebbe di male in una iniziativa come quella della Sinistra Sarda.
Cosa ci sarebbe di male nel mettere assieme un ambito associativo di discussione, analisi, elaborazione, proposta, che aggiunge e non sottrae nulla, che ha un proposito "nobile" come quello di contribuire a ricostruire un soggetto politico unitario della sinistra in Sardegna?
In altri termini: se non condivido ma comprendo e rispetto l'iniziativa sul pane e la linea del "partito sociale", per quale motivo qualcun altro dovrebbe sentirsi nel diritto di sentenziare, scomunicare, banalizzare, condannare, una iniziativa come quella di cui si parla?
Ecco: io penso fondamentalmente che in questo ambito risieda (più che in ogni altro luogo) la sconfitta storica dell'ipotesi della Rifondazione Comunista. Nell'improvvisa, soppravvenuta, incapacità di cogliere le potenzialità espansive di ciò che si muove al nostro esterno. Nell'improvvisa, soppravvenuta, presunzione della verità e dell'autosufficienza. Nell'improvvisa, soppravvenuta, assenza di curiosità.
Un comunista è tale se ha la capacità di appassionarsi, conoscere, sapere, informarsi. Per comprendere meglio la realtà, le proposte altrui, le sensibilità politiche. Diciamo che è nient'altro che il principio della rappresentanza. Non puoi rappresentare se non sai e non conosci. Non puoi sapere se non hai curiosità e brama di conoscenza: vale per tutto. Dal pane a Ottavio Olita.
In altri termini il rifiuto del confronto (quello serio, aperto, vero) è sempre un sintomo di profonda debolezza. A volte anche di ignoranza, sia politica che tout court.
Per evitare che qualcuno si senta offeso diciamo così: penso di essere fra i più ignoranti che vi siano al mondo. Tuttavia questa coscienza di me mi porta a voler colmare le mie lacune, impegnandomi ad approfondire argomenti e analisi. Onestamente non ho mai capito la posizione di coloro che pretendono di essere già a conoscenza di tutto e di non aver bisogno di altro.
Messa così basterebbe aver letto una o due Bibbie per sentirsi a posto con la coscienza e col mondo intero. Basterebbe aver letto il Manifesto del Partito Coomunista di Marx e Engels per dedurre che la responsabilità del fatto che oggi molti operai votino Lega o PdL stia in capo a Bertinotti piuttosto che a Bellotti. Ma ho l'impressione che non sia proprio così e oltre tutto non voglio arrivare a dogmatizzare persino l'esercizio del dubbio.
Ed allora la dissoluzione del partito può avvenire sia perchè molti lo abbandonano, sia perchè qualcuno spinge fuori gli altri con la sua ottusa incapacità di confrontarsi sobriamente e serenamente su prospettive differenti. E' una questione (sicuramente, diciamo, "trasversale" agli schieramenti interni) di incultura politica. O forse è proprio una cultura politica ben precisa, con la quale mi sento di condividere pressochè nulla.
In entrambi i casi c'è addirittura un pezzo del vissuto di ciascuno di noi. Sicuramente un pezzo di storia di questo partito.
Perdonate lo sfogo.
Michele Piras
Posta un commento